Giovanni Testori

Periodico

Tra i fantasmi dei templi siciliani

La questione degli scrittori che dipingono o disegnano, così come quella dei pittori che scrivono, è stata più volte affrontata, quasi mai, tuttavia, prescindendo dal valore o, quando ne sia il caso, dalla grandezza che un determinato artista ha raggiunto con il mezzo a lui più consono e proprio. Invece, proprio questo bisognerebbe fare. Il

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Disperata umanità dell’ultimo maledetto

Così anche Bacon, questo svergognato, supremo abitatore, rimestatore e cantore dell’umano disastro, è entrato nel regno muto delle ombre; le ombre, intendo, che si muovono all’interno e che, insieme avvolgono la nostra carne offesa, umiliata e demente; quelle ombre che egli aveva adescato e amato per decenni e decenni; quelle ombre che aveva sconfitto, perché

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Shakespeare o Charlie Chaplin?

Chiama le mostre, perfette per realizzazione, strepitose per senso e bellezza, vada a Lugano, dove avrà modo di incontrarsi con uno dei grandi spiriti del secolo. Perché si parla di perfetta realizzazione? Perché la pittura di Varlin è stata, qui, studiata con amore e coscienza, si da cavarne una scelta d’opere che ne restituissero, tappa

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Canto d’un pittore errante. Nella realtà

Toute ma vie j’ai eu besoin de penser peinture. Così scriveva Nicholas de Staël a Paul Rosenberg, nel febbraio del 1953; quando, cioè, la sua esistenza stava approssimandosi alla fine suicida e la sua arte aveva da anni toccato quell’assoluto verso il quale s’era sempre tesa, con una ferocia pari soltanto alla martirizzante intelligenza. Forse,

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Piranesi, l’immenso teatro aperto su Roma

Quando, dopo averlo a lungo compulsato, chiudiamo questo straordinario volume (Giovan Battista Piranesi: Vedute di Roma della collezione del Duca di Wellington, prefazione di Sebastiano Grasso — Sugarco edizioni) abbiamo l’impressione che, dai bordi d’ognuna delle tavole che lo compongono, sia cresciuto e si sia espanso verso l’esterno l’indicibile e trionfante verzicar nero dei sepolcri

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I misteri del giardino di Monet

Per i patiti, e gli amanti anche, del grande Monet che, come Proust, quando incontra qualcuno disposto a cedere alle sue sottilissime lusinghe, e ne invade ed occupa, silenziosamente, ma senza rimedi, l’esistenza; per quei patiti, dicevo, da almeno cinque lustri il museo Marmottan di Parigi è diventato uno dei sacri santuari ove recarsi, appena

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Jusepe de Ribera, un grande di Spagna

«Toi, crudele Rihera, plus dur que Jupiter, / tu fas des ses flancs creux, par d’affrêuses entailes, / cuoler à flots de sang des cascades d’entrailles!» – «Crudel Ribera, di Giove ben più pietra / dai magri fianchi, con terribili ferite, fai colare / fiotti di sangue e di viscere cascate». Mi sembra ancora oggi

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Leonardo, riflessi sul Canal Grande

VENEZIA – Ecco una mostra-san Tomaso; una mostra-velario; una mostra-sipario. Perché scrivo questo? Perché si tratta di un’esposizione che, coraggiosamente, indica e mette il dito su d’una gloriosa e ardente ferita (una ferita, converrà dirlo subito, d’amore), tenuta fin qui sotto ovatta o nel bagnomaria delle incertezze e dei rinvii: una mostra che scatenerà, si

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