Periodico

«Toi, crudele Rihera, plus dur que Jupiter, / tu fas des ses flancs creux, par d’affrêuses entailes, / cuoler à flots de sang des cascades d’entrailles!» – «Crudel Ribera, di Giove ben più pietra / dai magri fianchi, con terribili ferite, fai colare / fiotti di sangue e di viscere cascate». Mi sembra ancora oggi […]

Ogni qualvolta ci accade di visitare una mostra che, di Picasso, metta sotto studio e, poi, in vetrina, un periodo ben determinato e circoscritto, com’è il caso di questa, che da Barcellona passerà, agli inizi di maggio, a Berna, ciò che subito ci sorprende è il senso di un’assoluta potenza rappresentativa; forse, è meglio dire:

VENEZIA – Ecco una mostra-san Tomaso; una mostra-velario; una mostra-sipario. Perché scrivo questo? Perché si tratta di un’esposizione che, coraggiosamente, indica e mette il dito su d’una gloriosa e ardente ferita (una ferita, converrà dirlo subito, d’amore), tenuta fin qui sotto ovatta o nel bagnomaria delle incertezze e dei rinvii: una mostra che scatenerà, si

Rieccoci con le mostre all’italiana, con quelle mostre, cioè, che, partendo da un’intuizione giusta e commendevole, non arrivano a realizzarla e, quindi, pesantemente contraddicono lo stesso proposito d’origine. Immagino che questo accada soprattutto per fretta, come se gli organizzatori fossero inseguiti da una squadra di severissimi e imperdonanti poliziotti; in tal caso risulterebbe più rispettoso

Non so come, nella sua strepitosa perizia, Ronconi abbia risolto la messa in scena, anzi, in atto, o in funebre liturgia, di quel bellissimo monologo-lamento, ed escandescenza, che è la Donna di dolori di Patrizia Valduga che debutta questa sera al teatro Studio di Milano. Fosse toccata a me, cosa da cui fui e sono

E così, con ventiquattro ore di Cossiga nella nostra città in veste, funzione ed azione di capo dello Stato, Milano dovrebbe sentirsi elevata alla dignità di capitale; e da tale elevazione dovrebbe trarre orgoglio e fierezza. Dinanzi a simile proposta, la prima cosa da chiedersi è se Roma, dopo la devastazione che quarantasette anni di

È da dieci anni, esattamente dall’Homage del 1982 al Grand Palais, che Parigi non si chinava sulla grande, scorbutica e imperdonante poesia di Rouault; come se l’«a parte» in cui, tra sdegno e pietà, il maestro s’era tenuto durante tutta la vita, volesse continuare, come se volesse ancora negarsi ai metri del mondano. Questa volta,

Che tristezza dover avviare, con un lamento, la segnalazione di una mostra scatenata nel suo costruirsi, così come scatenante risulta nel suo rumoroso, vociante e teatralissimo esibirsi, mostra che s’apre, tutta e intera, alle approvazioni e alle contestazioni del caso! Ma, tant’è; non noi l’abbiamo voluto e chi ne è responsabile si prenda la staffilata

La prima volta che incontrai Roberto Longhi fu a Milano, durante la memorabile mostra caravaggesca del ’51. Era salito da Firenze con i suoi allievi cui faceva da guida Mina Gregori. Neppure a farlo apposta l’incontro, cui m’ero disposto con qualche comprensibile agitazione, avvenne nella sala dove, tra il seguito del maestro, stava esposto il

«II n’est à la beauté d’autre origine que la blessure» (non esiste, per la bellezza, altra origine che la ferita) –queste parole di Genet potrebbero essere poste come esergo a tutta l’opera del grande Giacometti; e, anche, di questa poderosa, bellissima rassegna. Più di trecento opere, tra sculture, dipinti e disegni; un bottino enorme, scelto