Giovanni Testori

Periodico

Morire a Milano, senza una lacrima

Semplice, tenera e insieme agghiacciante, straziata d’amore e di carità, tutta avvolta da un sentimento e da una consapevolezza pagati, giorno per giorno, nella carne e nell’anima, questa lettera dovrebbe metterci tutti lì, in ginocchio, a domandare perdono all’uomo che è in ogni uomo per dove abbiamo lasciato che l’uomo arrivasse. La vecchietta, chiusa nella […]

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Dietro l’orrore non soffochiamo la pietà

Ancora la nostra Brianza; ancora i nomi dei paesi a noi più cari, Binzago, Cesano Maderno, Cogliate; persino, a colpirci ancor più nel cuore, Bosisio Parini, là, sul lago di Pusiano; e ancora sangue e sangue terribile, inesplicabile e innocente, all’interno di quell’istituto primo, di quel primo, sacro nucleo d’ogni vivere umano e sociale che

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La tua corruzione è più corrotta della mia

Nella nostra società gli scandali attorno alfa corruzione, sia essa d’ordine economico o lo sia d’ordine ideologicopolitico, sempre e comunque di responsabilità morale, s’aprono e si chiudono come se la ripetitività di questo alzarsi e abbassarsi di coperchi su così turpi fatti volesse, come primo risultato, determinare in noi una sorta di progressivo assopimento che

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Natale, il vero rifugio dei poveri

Quando, lacerando la notte di Natale di quasi duemila anni fa, l’angelo di luce apparve ai pastori, disse: «andate e troverete il bambino avvolto nei panni e posto nel presepio». Non disse: «cercate», disse subito: «troverete»; e lo disse per affermare che quel bambino era nato esclusivamente per farsi trovare dall’uomo. I pastori accolsero subito

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[Senza titolo]

Caro Testori, «dimenticare Voghera?». Non è umanamente possibile, direbbe Gadda. Ma le osservazioni sul «complesso di nascere a Voghera» mi palo no un po’ troppo sincroniche, perché mettono insieme – in contemporaneità forzosa – due realtà storiche molto diverse: quei secoli di ‘centralità’ quando bastava nascere in villaggi toscani e veneti, e operare a Mantova

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Vergogna e colpa un po’ per tutti

Nella gabbia del televisore le immagini di rovina, di dolore e di morte sembrano tremare; poi, via via, si precisano; cominciano a premere; urgono; quasi volessero uscire dalla bidimensionalità entro cui il mezzo meccanico le presenta e le schiaccia. S’impastano, senza tregua, di lagrime, d’abissali silenzi, di disperate mutezze, di preghiere, d’indignazioni, d’urli; come se

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