Periodico

Nella sua lucida e inesorabile calma, il tempo risulta alla fine il più giusto riparatore. Da parte nostra non ci eravamo mai illusi che una critica tesa solo a scoprire le ragioni dirette, minori e sociali di un’opera o, anzi, di tutta e intera la letteratura, ovvero l’altra preoccupata di servirsi dell’opera presa in esame […]

Proprio negli stessi giorni in cui un anno dà la mano all’altro e, dunque, in accordo pieno e bellissimo col ritmo del tempo, papa Giovanni Paolo II ha accettato le dimissioni ripetutamente avanzate dal cardinal Giovanni Colombo, e ha dato a Milano il suo nuovo Pastore. Prima di compiere ogni altro gesto, prima di tentare

Come lo spirito della poesia, anche quello del teatro soffia dove soffia; tesi, ipotesi, controipotesi, teorizzazioni, elucubrazioni, seminari e consulti attorno al letto dell’agonizzante perpetuo, elefantesche strutture registiche ovvero cantine che passano, d’un subito, dai ragni e dai ratti ai profumi e agli snob, pare che non sempre servano a convincere lo spirito in questione

Quali prefiche, quali vestali, quali amazzoni, quali Norme (o come altrimenti chiamarle?), principiarono fin dal mattino a urlare per entro i telefoni loro (no, non a me che non uso frequentarle; bensì a qualche povero amico): «Hai visto?»; «Cosa?»; «Ma è impazzito, impazzito come?»; «Impazzito! Ti dico che è impazzito!». L’amico (più d’uno, in verità)

Esiste nello spazio un’ansa, un porto, una conca, una valle? Esiste una cavità, un grembo in cui tutte le note che abbiamo ascoltato vanno a sdraiarsi e a morire per poi da là, sempre e solo da là, rinascere e rivenirci incontro uguali a se stesse eppure continuamente diverse? E se questo luogo, che percepiamo,

Franco Ferrarotti, studioso di problemi sociali, professore universitario e collaboratore di questo giornale, ha voluto rispondere, sia pure con qualche ritardo, al mio articolo Accuso e condanno la cultura, apparso su queste colonne il 5 marzo ultimo scorso; e ha voluto rispondere con uno scritto cui è stato dato come titolo: Chi sceglie la non-ragione.

Alberto Moravia inizia l’articolo pubblicato l’altro giorno su queste colonne («Non avanguardie, ma solo scheletri»), riportando un giudizio dell’ultimo Pasolini che definiva l’Italia «un paese orribilmente sporco»; scrivendo di non apprezzare i referti «moralistici» (ma quella di Pasolini sembra a me un’opinione per nulla moralistica, bensì morale), Moravia la sostituisce con quest’altro: «L’Italia è un

È, nelle presenti distrette, causa d’umiliante tristezza constatare come alcuni intellettuali amino ricorrere nelle loro polemiche al falso di lettura; così almeno sono dai medesimi costretto a chiamarlo; che se non di falso si tratta, bisogna allora pensare alla conseguenza di una loro totale incapacità a leggere gli scritti attorno a cui affermano di voler

La Brianza; la dolce, fattiva Brianza; la Brianza delle famiglie; la Brianza degli operai, degli studenti, delle Chiese e dei partiti; la Brianza della fede in una vita più giusta, più civile e più santa; la Brianza degli artigiani e delle piccole industrie; quel lembo di terra che formava e, nonostante tutto e tutti, formerà

Conosco pochi uomini di cultura che mostrino di sapersi inchinare e quasi affossare dentro lo spazio della propria stanza di lavoro come Gaspare Barbiellini Amidei; pochi che, come lui, accettino di curvarsi sul proprio tavolo, curvarsi anche nel disegno della spina dorsale, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno; curvarsi, soffrire, intristirsi e